Le infezioni non ci hanno mai preoccupato troppo, perché c’era sempre un antibiotico che le curava.
Poi l’industria farmaceutica ha fermato la ricerca perché costava troppo:
dall’elaborazione di una nuova molecola alla sperimentazione sull’uomo CI VOGLIONO 10 ANNI (e sui vaccini?) e 1 miliardo di euro, con un ritorno di 1 a 100 rispetto ad altri farmaci.
Parallelamente sono cresciute in tutto il mondo le infezioni che gli antibiotici in uso non riescono più a curare.
E in Europa l’Italia è il Paese messo peggio.
- l’Escherichia coli - la causa più comune di infezione della vescica nelle donne - è resistente all’antibiotico nel 14,6% dei casi contro il 5,3% in Ue.
- la Klebsiella pneumoniae, responsabile di polmoniti e infezioni alle vie urinarie, nel 29,7% contro il 18,6% in Ue;
- lo Staphylococcus aureus, causa di infezioni cutanee – ma che può spostarsi attraverso il sangue (batteriemia) e infettare qualunque parte del corpo, in particolare le valvole cardiache (endocardite) e le ossa (osteomielite) – nel 34,1% conto il 16,8% in Ue.
Le cause? Sono tre:
- ne assumiamo troppi, anche autoprescritti e in modo inappropriato;
- vengono somministrati in quantità eccessiva negli ospedali a causa di una alta diffusione delle infezioni;
- l’utilizzo su larga scala negli allevamenti intensivi, i cui residui entrano nella catena alimentare.
Il 40,8% della popolazione pediatrica (0-13 anni) riceve almeno una prescrizione per 2,6 confezioni in media.
Nel primo anno di vita nel 2018 è stato raccomandato un antibiotico a un bambino su due.
Per quel che riguarda gli ospedali: l’8% dei pazienti contraggono un’infezione durante il ricovero: sono cioè 500.000 mila ogni anno.
Le infezioni più comuni: respiratorie 24%, batteriemie 18%, urinarie 18%, da ferita chirurgica 14%.
Peggio di noi c’è solo l’Islanda.
Risultato: infezioni ospedaliere da germi multiresistenti.
In Europa ogni anno: 670.000 malati con 33 mila decessi di cui 200.000 malati con 10 mila morti in Italia (2/3 di tutta l'Europa).
Contribuisce allo sviluppo di batteri resistenti anche tutto quello che, a nostra insaputa, entra nella catena alimentare attraverso l’utilizzo massiccio di antibiotici negli allevamenti intensivi.
Per avere un’idea: l’Italia acquista ogni anno circa 1500 tonnellate di principio attivo antimicrobico, 500 sono per uso umano, e 1.067 per uso zootecnico, di cui il 60% è destinato agli allevamenti dei suini.
Il problema è che negli animali, come nell’uomo, quando vengono somministrati troppi antibiotici si sviluppano batteri resistenti. E alla fine i liquami di tutti gli allevamenti finiscono nell’ambiente, rendendo resistenti i germi del terreno su cui cresce il foraggio di cui poi si nutre l’animale; oltre a contaminare anche la verdura che finisce nel piatto.
Motivo per cui è importante lavarla molto bene.
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DATAROOM Di Milena Gabanelli
Antibiotici, ecco perché non ci curano più: 10.000 morti l’anno